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9 apr 2015

O SIGNOR PER CORTESIA...

Allora, adesso metto qui il testo della poesia che io e il Ciccio (adesso lo smilzo) ci faceva piangere dal ridere quando eravamo al Messedaglia, quello che questa poesia mi fa sperare è che forse anch'io sono stato scelto dal nostro Signore (Jehovah) di ricevere una malsania (il trauma cranico) che mi aprirà le porte del paradiso, dopo tutte le sofferenze atroci che questa malsania mi ha fatto patire per circa 10 anni.
Comunque adesso metto qui il testo di questa poesia rivelatrice, così magari o ve la ricordate o - rileggendola - la capite meglio:

O Signor, per cortesia,
manname la malsanìa!

A mme la freve quartana,
la contina e la terzana,
la doppla cotidïana
co la granne ydropesia.

A mme venga mal de dente,
mal de capo e mal de ventre;
a lo stomaco dolur’ pognenti
e ’n canna la squinanzia.

Mal dell’occhi e doglia de flanco
e la postema al canto manco;
tiseco me ionga enn alto
e d’onne tempo fernosìa.

Aia ’l fecato rescaldato,
la melza grossa e ’l ventr’enflato
e llo polmone sia ’mplagato
cun gran tòssa e parlasia.

A mme venga le fistelle
con migliaia de carvuncilli,
e li granci se sian quelli
che tutto replen ne sia.

A mme venga la podraga
(mal de cóglia sì me agrava),
la bisinteria sia plaga
e le morroite a mme sse dìa.

A mme venga ’l mal de l’asmo,
iongasecce quel del pasmo;
como a can me venga el rasmo,
entro ’n vocca la grancia.

A mme lo morbo caduco
de cadere enn acqua e ’n foco
e ià mai non trovi loco,
che eo afflitto non ce sia.

A mme venga cechetate,
mutezza e sordetate,
la miseria e povertate
e d’onne tempo entrapparìa.

Tanto sia ’l fetor fetente
che non sia null’om vivente,
che non fuga da me dolente,
posto en tanta enfermaria.

En terrebele fossato,
che Riguerci è nomenato,
loco sia abandonato
da onne bona compagnia.

Gelo, grando e tempestate,
fulgure, troni e oscuritate;
e non sia nulla aversitate,
che me non aia en sua bailìa.

Le demonia enfernali
sì mme sian dati a menestrali,
che m’essèrcino en li mali,
ch’e’ ho guadagnati a mea follia.

Enfin del mondo a la finita
sì mme duri questa vita
e poi, a la scivirita,
dura morte me sse dìa.

Allegom’en sseppultura
un ventr’i lupo en voratura
e l’arliquie en cacatura
en espineta e rogarìa.

Li miracul’ po’ la morte,
chi cce vene aia le scorte
e le deversazioni forte
con terrebel fantasia.

Onn’om che m’ode mentovare
sì sse deia stupefare
e co la croce sé segnare,
che reo escuntro no i sia en via.

Signor meo, non n’è vendetta
tutta la pena ch’e’ aio ditta,
ché me creasti en tua diletta
et eo t’ho morto a villania.


In un periodo dominato dal terrore dei mali fisici, le invocazioni di Jacopone dovevano veramente provocare un effetto dirompente. Particolarmente interessante risulta, nella parte conclusiva della lauda, la rappresentazione rovesciata dei segni della santità e della devozione: al posto delle reliquie dei santi, Jacopone propone come reliquie a ricordo della sua esistenza le feci del lupo che lo ha divorato, al posto dei miracoli, seguito da spiriti maligni, tormenti e deliri. Il rapporto conclusivo col tema della passione rivela il significato profondo delle richieste del poeta: seguire il cammino del martirio e imitare Cristo escludendo però, attraverso la degradazione delle sofferenze abbracciate, ogni aspetto di   gloriosa salvezza dalla propria vicenda.

L'attacco al corpo esprime in Jacopone disprezzo e odio verso tutta la parte materiale e naturale di se stesso. L'annientamento è totale anche sul piano umanamente intellettuale e morale. Il poeta manifesta un rifiuto globale della dimensione terrena e umana sviluppando fino alle estreme conseguenze la tradizione ascetica medioevale del disprezzo del mondo. C'è quindi un aspetto autopunitivo del corpo.Jacopone parla di punizione corporale per espiare i peccati appartenenti al genere umano e guadagnare la vera vita, quella spirituale di annullamento nel divino e questo lo collega all'ideologia diffusa in quel periodo sulla morte.

Tutte le scene di sofferenza, malattia, orribile morte e disfacimento che Jacopone propone non sono quindi motivo di terrore. La morte per quanto orribile non viene fuggita  ma invocata come possibilità di liberazione dalla prigione terrena e di conquista della beatitudine spirituale.

In questa poesia, che è una lode, rovesciando le consuete preghiere rivolte dagli uomini a Dio di essere preservati dai mali, Jacopone da Todi (1230/36 - 1306) chiede che gli venga scaricato addosso un cumulo interminabile e raccapricciante di malattie e di sciagure completato da una morte orribile . Chiede anche che la deformità fisica provochi orrore negli altri uomini, così da essere schivato, emarginato, temuto, maledetto. E tutto ciò non è comunque, secondo l'autore, sufficiente a scontare la colpa di essere parte della stessa umanità che ha crocefisso Cristo.
Purtroppo io non avevo mai chiesto di fare un esperienza così tremenda, però posso solo sperare di andare diretto in paradiso quando finalmente sarò morto davvero.


  1.  http://parafrasare.altervista.org/blog/jacopone-da-todi-o-signor-per-cortesia-parafrasi-e-commento/
  2. http://it.wikipedia.org/wiki/O_Signor,_per_cortesia
  3. http://doc.studenti.it/appunti/letteratura/signor-cortesia.html
  4. http://balbruno.altervista.org/index-1136.html

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